Premier League, tra stadi da sogno e stadi rimasti solo un sogno

Se la Premier League è il campionato più bello del mondo, il merito non va solo ai campioni che scendono in campo, ma anche alle fantastiche atmosfere sugli spalti: ecco perché tutti i club vorrebbero disporre di stadi da sogno, anche se molte volte alcuni sono costretti a rimandare

Quando si parla di atmosfera e di “vivere l’esperienza della partita”, in molti pensano immediatamente agli stadi inglesi e, in particolare, a quelli della Premier League. Considerati tra i più belli, moderni, affascinanti ed iconici del mondo, gli impianti della massima serie inglese non hanno sempre vissuto le fortune di cui godono oggi.

A partire dai tempi bui dei disastri di Hillsborough, Valley Parade ed Ibrox (solo per rimanere in contesto britannico), l’ammodernamento degli impianti da gioco è diventato una delle priorità nel Regno Unito. È stato soltanto di recente, però, che gli stadi inglesi si sono trasformati nei gioielli che conosciamo oggi.

A partire dall’inizio del nuovo millennio, infatti, i grandi investitori dei venti club della Premier League hanno compreso l’importanza di aumentare i ricavi tramite gli ingressi allo stadio, nonostante il più delle volte lo abbiano fatto con manovre incapaci di tutelare i fan.

Tra opere di restauro, proposte di abbattimento e ricostruzione, e campagne per la tutela delle tradizioni della città, gli stadi di Premier League possono raccontare vicende che vanno anche oltre il calcio giocato, a dimostrazione, ancora una volta, che questo magico sport non è soltanto un gioco, ma un vero e proprio contenitore di storie ed emozioni.

Premier League, gli stadi “che ce l’hanno fatta”

Da decenni, ormai, la Premier League è il punto di riferimento calcistico di tutto il mondo. Grandi investitori, grandi club, grandi giocatori e grandi stadi: tutto – o quasi – il meglio del calcio mondiale si è trasferito in quel lembo di terra compreso tra la Manica e l’Oceano Atlantico, proprio dov’era nato più di 150 anni fa.

Con un potere economico così forte, per i proprietari dei club di Premier League è diventato via via sempre più importante cercare incassi ancora maggiori e disparati. Per fare ciò, senza rischiare di perdere parte del loro “prodotto”, in tanti hanno individuato nel nuovo stadio la strada migliore.

Andando indietro nel tempo, già a partire dai primi quindici anni di Premier League, molte delle squadre che hanno calcato il massimo palcoscenico inglese si sono trasferite in stadi all’avanguardia, considerati tutt’oggi tra i più moderni del mondo, nonostante siano passati decenni dalla loro inaugurazione.

Lo Stadium of Light di Sunderland, il Riverside Stadium di Middlesbrough, il King Power Stadium del Leicester, l’Emirates Stadium dell’Arsenal (per cui lo stesso Arsène Wenger aveva dichiarato di aver fatto “di tutto” per convincere il suo proprietario, Stan Kroenke, ad appoggiarne la costruzione, ndr) o l’Etihad Stadium del Manchester City, sono solo alcuni esempi di questa prima ondata di trasformazione che aveva colpito la Premier League, e l’intera Inghilterra calcistica, nei primi anni Duemila.

Premier League, i nuovi gioielli: West Ham, Tottenham ed Everton

Più recenti, e ancora più imponenti nella realizzazione e nei costi, sono invece i trasferimenti di West Ham, Tottenham e, ormai a stretto giro di posta, Everton. Tolto il caso dei Toffees, i quali hanno comunque dovuto aspettare vent’anni e passare attraverso tre diverse proposte progettuali per vedere compiuto il loro nuovo stadio, il trasferimento di Hammers e Spurs dai vecchi ai nuovi impianti ha lasciato strascichi importanti.

Abbandonare due templi come Upton Park e White Hart Lane semplicemente nel nome delle capienze più grandi e, quindi, dei maggiori incassi per il club, è suonato come una pugnalata alle spalle dei tifosi, legati profondamente alle rispettive case e alle storie che quelle quattro mura “sacre” avevano potuto raccontare nel corso dei decenni.

Nello specifico, sono ancora memorabili le immagini delle partite casalinghe del Tottenham nelle stagioni a cavallo tra il 2017 e il 2019 quando, per via degli accordi presi dal proprio presidente, gli Spurs erano costretti a giocare le loro partite di Premier League su un terreno, a Wembley, martoriato dalle corse e dai placcaggi dei giocatori della NFL.

Ancora più scalpore, andando indietro nel tempo, aveva fatto la dichiarazione di David Sullivan (proprietario del West Ham insieme a David Gold, ndr), il quale aveva pubblicamente ammesso di essersi interessato al London Stadium, non tanto perché fosse uno stadio perfetto o amato dai tifosi, ma perché “era un affare così vantaggioso” dal punto di vista economico, da non poter essere ignorato.

Premier League, gli stadi che non ci sono mai stati

Seppure controvoglia, per una buona fetta di tifosi, quelle di West Ham e Tottenham sono storie di successo. Con stadi da oltre 60mila spettatori e prezzi dei biglietti decisamente aumentati, Hammers e Spurs sono riusciti a rilanciarsi ai vertici tanto della Premier League quanto dell’intero scenario europeo.

Seguendo questa scia di successo, anche molti altri club avrebbero voluto fare lo stesso. Non sempre, però, la fortuna – o la situazione economica – è stata dalla loro parte. Primo caso eclatante, in questo senso, è quello del Liverpool, il cui progetto di costruzione di un nuovo impianto a Stanley Park venne fermato tanto dalle proteste popolari, quanto dalla crisi economica del 2008. Fu poi soltanto con l’arrivo di John W. Henry e della sua FSG che i Reds trovarono nel riammodernamento di Anfield la via migliore per aumentare gli incassi del botteghino.

Questo è solo uno degli esempi di questo importantissimo capitolo della storia moderna della Premier League, ma ce ne sono altri molto significativi, oltre che alcuni ai limiti dell’incredibile.

In questa categoria, infatti, rientrano pienamente le avventure di quelli che avrebbero dovuto essere i “nuovi” Fratton Park e Stamford Bridge. Nel 2007, il Portsmouth, ai tempi stabilmente in Premier League e prossimo a vincere la FA Cup, aveva presentato ben due diversi progetti, pensati dal prestigioso studio svizzero Herzog & de Meuron, per costruire un nuovo impianto da 50mila posti nella famosa base navale cittadina di Spinnaker Tower.

Negli ideali quasi futuristici degli architetti, peraltro, l’East Stand del nuovo stadio sarebbe sorto direttamente sul mare, andando a creare uno scenario unico al mondo e davvero imperdibile. Peccato che, quella volta, a mettersi di traverso fu addirittura la Royal Navy, che considerava il sito ancora di importanza militare e, quindi, costrinse il Pompey a desistere.

Premier League, il primo tentativo a vuoto del Chelsea

Anche il Chelsea, nel 2012, aveva pensato di abbandonare Stamford Bridge (nonostante l’ammodernamento dell’impianto fosse di gran lunga più recente rispetto agli altri casi, ndr) per andarsi a costruire una casa più moderna e, soprattutto, più remunerativa in un altro luogo. La scelta dei Blues, in quel caso, cadde sulla Battersea Power Station, un’antica centrale a carbone, ormai in disuso, sulla sponda sud del Tamigi.

Ebbene, con il progetto già presentato, il club dell’allora presidente Roman Abramovich perse il bando, venendo scavalcato da un gruppo di investitori malesi pronti a fare dell’ex centrale un grandissimo ritrovo per la moda e lo shopping di lusso della capitale. In molti, ai tempi, sostennero addirittura che il bando fosse stato fatto vincere apposta a SP Setia (l’azienda malese in questione, ndr) per via delle grandi pressioni diplomatiche esercitate dal paese asiatico sul numero 10 di Downing Street.

Insomma, gli standard altissimi della Premier League richiedono sempre la massima attenzione, anche quando si tratta di calcio “non-giocato”. Da quando poi, gli stadi hanno cominciato ad essere considerati non soltanto come un teatro nel quale assistere ad uno spettacolo, ma come un vero e proprio asset commerciale, ecco che il campionato più ricco del mondo ha trovato un’altra strada per far valere la propria potenza.

Fonti
Foto Credits: the18.com; mirror.co.ukOthers: The Athletic

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