James McClean, il poppy e Derry: una storia che va oltre il calcio

In un’intervista esclusiva concessa a Sky Sports, James McClean si racconta: dal calciatore “più odiato” d’Inghilterra al papà che difende i suoi ideali

McClean si rifiuta di indossare il poppy

Quando un appassionato di calcio d’Oltremanica sente pronunciare il nome di James McClean, è molto probabile che, in automatico, gli si accenda una lampadina. “È quello che a novembre non vuole mai indossare il poppy – il papavero rosso che calciatori, dirigenti, arbitri e tifosi indossano per ricordare le vittime di tutte le guerre britanniche”, si ricordano. Ebbene sì, il ragazzo nativo di Creggan, vicino alla città di Derry (ed è proprio questo un passaggio importantissimo per la nostra storia), è diventato famoso al grande pubblico esattamente per questo motivo. Nel novembre 2012, infatti, l’allora 23enne esterno di centrocampo aveva rifiutato di indossare il papavero rosso durante la trasferta di Premier League del suo Sunderland a Goodison Park, contro l’Everton.

La notizia, comunicata dagli stessi Black Cats tramite la formula di “scelta personale del giocatore”, aveva fatto il giro del web e di tutti i principali tabloid. Immediatamente questi, come buonissima parte degli appassionati inglesi, avevano cominciato a dipingere il giocatore come un “guerrafondaio”, un “istigatore” o un “personaggio controverso”: una nomea che McClean si porta dietro anche oggi, quando è spesso costretto a chiudere i propri account social a causa delle irripetibili minacce e frasi cariche d’odio che riceve per questa sua decisione.

Ma cosa si cela dietro ad una scelta, per tanti, così contestabile?

James McClean: quando venire da Derry significa molto di più

Poche righe fa abbiamo accennato alla città di Derry, fondamentale per il nostro racconto. Derry è il luogo in cui il centrocampista ora in forza al Wrexham è nato, ma è anche l’ultima città con un’alta densità di popolazione dell’Irlanda del Nord, quella di confine con la contea di Donegal e l’Irlanda repubblicana. Inutile dire che una città geograficamente così precaria porti ancora con sé, nonostante siano passati più di cinquant’anni, le cicatrici di una delle pagine più buie della storia d’Irlanda e di tutte le isole britanniche.

Nonostante un censimento del 2021 dichiari che a Derry la maggioranza dei cittadini si senta irlandese, per una buona parte dei suoi abitanti, il vero nome della città è Londonderry, a dimostrazione di come le tensioni della guerra tra irlandesi del nord e unionisti siano ben lungi dall’essere terminate. Il 30 gennaio 1972, a Bogside, uno dei principali quartieri di Derry, si consumò uno degli avvenimenti più terribili della storia europea del Novecento: la cosiddetta Bloody Sunday. Quel giorno, infatti, per sedare le proteste anti-inglesi delle settimane precedenti, l’esercito britannico aprì il fuoco su un gruppo di cittadini disarmati, uccidendo quattordici persone e ferendone molte altre.

Proprio questo avvenimento è ciò che ha fermato James McClean, ragazzo nato e cresciuto a Derry, dall’indossare il poppy per le celebrazioni di novembre. Come lui stesso ha scritto in una lettera aperta a David Whelan, presidente del Wigan, uno degli ultimi club per cui ha giocato: “indossarlo sarebbe una mancanza di rispetto verso quegli innocenti che hanno perso la vita durante i Troubles – e specialmente durante il Bloody Sunday. Mancherei di rispetto a tutta quella gente; la mia gente”.

James McClean: oltre gli haters, oltre i pregiudizi e oltre il calcio

Questa lettera, in cui il punto di McClean appare ben chiaro, non ha fermato gli haters dal continuare il loro “lavoro d’odio”. Soltanto nell’ultimo anno, infatti, la Football Association ha cominciato a prendere una posizione a favore del giocatore, nonostante i reiterati appelli precedenti, multando i club i cui tifosi si macchiavano di espressioni ingiuriose nei suoi confronti.

In realtà, come dichiarato dallo stesso McClean nell’intervista concessa pochi giorni fa a Sky Sports UK, i danni provocati da questi atteggiamenti sono duraturi: “di certo non è una situazione ideale, quella in cui mi trovo [l’essere considerato un guerrafondaio anti-britannico] ma di certo mi ha reso una persona molto più resiliente. Ho imparato a combattere le mie battaglie, anche se spesso ho dovuto farlo da solo”.

Singolare è inoltre il fatto che la percezione del pubblico nei suoi confronti non sia cambiata nonostante il grande impegno con associazioni caritatevoli. In particolare, McClean è molto sensibile alla questione dell’autismo: “al fianco di mia figlia imparo sempre qualcosa di nuovo. Nonostante le difficoltà, non la cambierei per nulla al mondo. Da quando è arrivata, ho aperto gli occhi e sono maturato moltissimo. Mi ha reso una persona migliore”.

Insomma, anche questa storia, quella di un ragazzo dipinto dall’esterno come uno dei “peggiori personaggi” degli ultimi tempi del calcio britannico, ci ha dimostrato che sotto l’apparenza si nasconde molto di più: la storia di James McClean da Derry, in definitiva, è una di quelle che vanno oltre ciò che si vede, oltre il calcio.

Fonti
Foto Credits: guardian.com

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