[EDITORIALE] L’importanza di essere ingrati.

L’esonero di Ranieri da parte della proprietà tailandese del Leicester, in fondo, non sorprende. E’ solo una delle tante manifestazioni dei tempi moderni in cui nello sport, come nella vita, l’unico valore che conta è l’ingratitudine.

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La scorsa stagione abbiamo avuto la fortuna di assistere ad un vero e proprio miracolo sportivo. Un sogno, diventato realtà, che credevamo potesse appartenere soltanto alla sceneggiatura di un film. Invece è accaduto davvero. Il piccolo Leicester è riuscito ad avere la meglio sulle grandi potenze economiche del football moderno: Chelsea, Manchester City, Manchester United ed Arsenal su tutte. E a rendere ancora più magica questa sceneggiatura ci ha pensato, oltre agli attori in campo (il self made man Jamie Vardy), il regista: Claudio Ranieri. Sempre rispettato da tutti come professionista, ma criticato e denigrato come “perdente” o “eterno secondo“, da tifosi, addetti ai lavori e anche da chi scrive (perchè l’onestà intellettuale è una virtù di pochi oggi).
I tifosi del Leicester hanno visto i propri beniamini alzare il trofeo, li hanno osannati, esaltati ed hanno scritto a vita nelle loro menti i nomi degli autori di quell’impresa. L’esordio in Champions League e la qualificazione agli ottavi, un altro traguardo insperato, un altro “miracolo” sportivo.
Che questa stagione sarebbe stata complicata non era difficile prevederlo e lo stesso Ranieri dichiarò che l’obiettivo era “quello di salvarsi” e la proprietà lo ha sempre appoggiato. Già, la proprietà.
L’ottica del profitto e del risultato poco o nulla hanno a che vedere con la magia del momento o il romanticismo del ricordo. Quando le cose non vanno più, bisogna sterzare, cambiare direzione. E non importa se quando svolti bruscamente travolgi il passato e spazzi via come se nulla fosse chi ti ha regalato emozioni (e guadagni) insperati. Sia chiaro: non vogliamo dipingere Ranieri come un martire (le sue, meritate, soddisfazioni economiche – anche nell’esonero – se le tiene ben strette), ma dalla favola Leicester ci saremmo aspettati di più. Semplicemente gratitudine. Anche se gratitudine avesse significato retrocedere, ma con quei giocatori e quell’allenatore che hanno reso realtà un sogno.
Oggi, però, è chiedere troppo. E’ troppo per un tempo in cui anche le emozioni sono un bene di consumo; troppo per un tempo in cui è facile dimenticare chi te le ha fatte vivere; troppo per un tempo in cui l’ingratitudine è l’unico “valore” che conta.

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